da sito internet AIAF – Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i Minori
In tema di separazione personale dei coniugi, “i redditi adeguati”, cui va rapportato l’assegno di mantenimento in favore del coniuge economicamente più debole al quale non sia addebitabile il fallimento dell’unione, sono quelli necessari a mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto nel corso della convivenza.
La necessaria correlazione tra l’adeguatezza dei mezzi economici a disposizione del richiedente ed il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio ha trovato conferma essendosi ribadito che tale parametro trova giustificazione nella permanenza del vincolo coniugale, non riscontrabile nel caso dell’assegno divorzile, il quale, a differenza dell’assegno di mantenimento, presuppone l’intervenuto scioglimento del matrimonio.
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, mediante recente ordinanza, la n. 20228/2022, depositata lo scorso 23 giugno.
Il Tribunale di Palermo, dopo avere pronunziato, con sentenza non definitiva depositata il 21 novembre 2014, la separazione personale di B.A., esercente l’attività di avvocato, e D.B., dipendente pubblico, con sentenza resa nei giorni 1-2 marzo 2018 rigettava la domanda di addebito della separazione proposta dal B., affidava la figlia minorenne S. ad entrambi i genitori con collocazione prevalente presso la madre e fissava in favore della D. un assegno di mantenimento di Euro 2.500,00 mensili, ponendo altresì a carico del B. un contributo di Euro 4.000,00 per il mantenimento della figlia S. e dell’altra figlia maggiorenne E..
Sull’appello proposto dal B. la Corte di appello di Palermo, con la sentenza n. 876/2020, pubblicata il giorno 8 giugno 2020 rigettava l’impugnazione condannando l’appellante al pagamento delle spese del giudizio in favore della D..
Osservava il Collegio, in particolare, che il Tribunale aveva correttamente escluso l’esistenza dei presupposti per l’addebito della separazione in relazione al giustificato allontanamento della D. dall’abitazione coniugale, avvenuto tra il 23 ed il 24 agosto 2013, quando da plurimi elementi – denuncia presentata dall’appellante, audizione delle figlie della coppia, dichiarazioni acquisite nel corso della disposta c.t.u. – già prima dell’abbandono del domicilio coniugale era emersa una situazione di forte tensione all’interno del nucleo familiare tale da escludere che il volontario abbandono del domicilio avesse avuto efficienza causale sulla intollerabilità della prosecuzione della convivenza, esso piuttosto essendo risultato conseguenza di una crisi familiare preesistente.
Quanto agli aspetti di natura economica la Corte di appello, preso atto del reddito della D. pari ad Euro 28.000,00 annuali e della proprietà di due cespiti immobiliari, uno adibito ad abitazione e l’altro non produttivo di reddito, evidenziava la notevole capacità economica del B., ben superiore rispetto ai redditi dichiarati dal 2009 al 2011, in ragione delle percentuali che lo stesso ritraeva dalle liquidazioni di indennizzi assicurativi riconosciuti ai propri clienti dalle quali aveva preso avvio un accertamento di natura tributaria poi sfociato in un procedimento penale per reati fiscali a carico del predetto con parallelo accertamento di natura tributaria teso alla ripresa di redditi non dichiarati per gli anni 2009/2012 per un importo di circa Euro 1.300.000,00.
La Corte di appello, anche sulla base di ulteriori elementi dimostrativi delle notevoli risorse economiche del B., che gli avevano consentito di fare fronte al pagamento del debito fiscale senza dismettere il cospicuo patrimonio immobiliare composto da immobili di pregio in varie zone della città di Palermo, riteneva corretta la quantificazione dell’assegno fissata dal Tribunale in relazione al conclamato possesso di rilevanti liquidità in capo allo stesso, che pure avevano consentito al B. di acquistare un altro immobile del valore di oltre un milione di Euro senza dismettere il patrimonio immobiliare. Inoltre, rilevava la Corte che costui aveva fatto ricorso nel 2016 a mutui per completare l’acquisto di una villa con piscina e di un bene di lusso nel 2016, da ciò desumendo che lo stesso professionista aveva continuato a sostenere lo stesso tenore di vita di cui godeva negli anni della convivenza coniugale.
Il complesso di tali elementi non rendeva dunque il reddito del B. compatibile con le risultanze delle più recenti dichiarazioni dei redditi, correttamente ritenute dal Tribunale inattendibili in relazione all’accertamento di elementi ulteriori apprezzabili in termini economici ed idonei ad incidere sulle condizioni economiche del B. anche in assenza di un accertamento dei redditi nel loro esatto ammontare. Aggiungeva, poi, la Corte di appello che nessun elemento era stato offerto dall’appellante per comprovare che la condanna penale inflitta avesse inciso sulla propria attività professionale, avendo anzi il giudice di primo grado basato la sua valutazione su una stima prudenziale del reddito annuo di Euro 500.00,00 a fronte di una media annua dei ricavi pari ad Euro 650.000,00 tra il 2009 ed il 2012.
Riteneva, infine, il Collegio corretta la determinazione dei redditi stimati della D. e considerava congrua la quantificazione dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge non dotato di redditi adeguati sulla base del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, dovendo reputarsi ancora attuale il dovere di assistenza materiale in seno alla separazione.
Il B. ha proposto ricorso per cassazione, impugnando la sentenza della Corte di appello.
Con il primo motivo il ricorrente prospetta la violazione degli artt. 143 e 146 c.c., art. 151 c.c., comma 2, e artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. La Corte di appello, nell’escludere l’efficacia causale dell’abbandono del domicilio coniugale da parte della D. sulla rottura del vincolo di coniugio, avrebbe utilizzato dichiarazioni delle figlie benché mai audite nella sede processuale e senza fondarsi su risultanze probatorie che spettava alla D. fornire, essendo pacifico il di lei allontanamento nell’agosto dell’anno 2013.
Peraltro, dal momento dell’allontanamento della D. e delle figlie alla data in cui la moglie era stata autorizzata, nel corso dell’udienza presidenziale, a vivere separata dal marito il comportamento successivo al venir meno della convivenza avrebbe dovuto assumere rilievo ai fini dell’addebito della separazione.
Le censure esposte nel primo motivo sono state ritenute inammissibili o infondate.
La Corte di appello, si legge nel provvedimento, nell’ambito delle prerogative alla stessa riservate in ordine all’apprezzamento degli elementi probatori raccolti nel corso del giudizio, ha ritenuto l’allontanamento della moglie e delle figlie dal tetto coniugale inidoneo ad incidere sul vincolo di coniugio, qualificandosi come conseguenza e non già come causa dell’intollerabilità della prosecuzione della vita coniugale, essendo intervenuto in un momento nel quale la prosecuzione della convivenza era già divenuta intollerabile e a sostegno di tale fatto ha richiamato plurimi elementi indiziari. Elementi che la Corte di appello ha stimato idonei a conclamare un clima di tensione di notevole intensità all’interno del nucleo familiare che aveva determinato l’interruzione di ogni contatto tra le figlie ed il padre e già di per sé solo dimostrativo del fatto che la prosecuzione della convivenza coniugale era divenuta intollerabile già prima dell’allontanamento della D..
Ora, secondo il Collegio, si tratta di considerazioni coerenti con quanto affermato dalla giurisprudenza in ordine all’incidenza dell’allontanamento sul vincolo di coniugio -cfr., da ultimo, Cass. n. 648/2020, Cass. n. 11792/2021- ed espressive di prerogative relative alla valutazione del materiale probatorio – nel caso di specie in punto di accertamento della intollerabilità della prosecuzione della convivenza in epoca anteriore all’allontanamento della D. – che si apprezzano come insindacabili in questa sede di legittimità – cfr. Cass. n. 19547/2017, Cass. n. 29404/2017, Cass. n. 16056/2016-.
Parimenti inconferente risulta poi, ai fini del giudizio sull’addebito della separazione, la questione della asserita sottrazione della prole agli incontri con il padre per effetto dell’allontanamento delle figlie dall’abitazione coniugale protrattosi fino alla comparizione personale dei coniugi sulla quale indugia il ricorrente, la stessa attenendo alle relazioni fra la prole ed i coniugi e senza che, peraltro, il ricorrente abbia dimostrato di aver dedotto nelle precedenti fasi del giudizio di merito come causa incidente in via autonoma rispetto all’allontanamento sulla rottura del ménage familiare.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 156 c.c., e artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione al ritenuto erroneo utilizzo, da parte della Corte di appello di Palermo, del canone del tenore di vita matrimoniale ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento, a dire del ricorrente superato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 18287/2018 e da successive pronunzie di questa Sezione -Cass. n. 16405 e n. 16809 del 2019-.
Il motivo viene ritenuto infondato.
La giurisprudenza della Suprema Corte si è ormai stabilizzata nel ritenere che la determinazione dell’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge in misura superiore a quella prevista in sede di separazione personale, in assenza di un mutamento nelle condizioni patrimoniali delle parti, non è conforme alla natura giuridica dell’obbligo, presupponendo l’assegno di separazione la permanenza del vincolo coniugale, e, conseguentemente, la correlazione tra l’adeguatezza dei redditi ed il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Al contrario tale parametro non rileva in sede di quantificazione dell’assegno divorzile, che deve invece essere determinato in considerazione della sua natura assistenziale, compensativa e perequativa, secondo i criteri indicati alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, essendo volto non già alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, bensì al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge beneficiario alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi – cfr. Cass. n. 17098/2019 -.
A ben vedere, una consolidata giurisprudenza è ferma nel ritenere che qualora sussista una disparità economica tra le parti, “i redditi adeguati”, cui va rapportato in sede di separazione l’assegno di mantenimento in favore del coniuge economicamente più debole al quale non sia addebitabile il fallimento dell’unione, sono quelli necessari a garantire il mantenimento di un tenore di vita analogo a quello goduto nel corso della convivenza (cfr. Cass. n. 12196/2017; Cass. n. 1162/2017; Cass. n. 6864/2015; Cass. n. 13026/2014). La necessaria correlazione tra l’adeguatezza dei mezzi economici a disposizione del richiedente ed il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio era stata messa in discussione da alcune pronunce (cfr. Cass. n. 16405 del 2019 e Cass. n. 26084 del 2019) atte ad equiparare i criteri di attribuzione e determinazione dell’assegno separativo e divorzile.
E tuttavia, l’indirizzo tradizionale, che insiste sulla differenza di presupposti tra l’assegno divorzile e quello di separazione, ha trovato definitiva conferma anche di recente, essendosi ribadito che per quest’ultimo emolumento il parametro del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio trova giustificazione nella permanenza del vincolo coniugale, non riscontrabile nel caso dell’assegno divorzile il quale, a differenza dell’assegno di mantenimento, presuppone l’intervenuto scioglimento del matrimonio -cfr. Cass. n. 13408/2022; Cass. n. 20858/2021; Cass. n. 5605/2020-.
Sulla base di tali considerazioni il motivo di ricorso proposto dal ricorrente non coglie nel segno, alla stregua del consolidato diritto vivente, al quale si è puntualmente uniformato il giudice di appello.
In conclusione, la Cassazione ha rigettato il ricorso.